sabato 24 maggio 2008

The Blue Mask

Ahime', il primo album di cui parlo che non e' un 33 giri ovvero che posseggo solo in versione CD. D'altronde a Lou Reed ed ai Velvet Underground arrivai relativamente tardi: l'ultimo periodo dell'universita' quando ormai i dischi in vinile erano sempre meno presenti nei negozi di dischi (ora sono spariti anche i negozi, ma lasciamo perdere, questa e' un'altra storia). A "The Blue Mask" sono associati due anni: il 1981 ed il 2001. La prima associazione e' oggettiva, e' l'anno di uscita dell'album. La seconda e' fortemente soggettiva. Fu uno dei pochi album che portai con me a Berkeley dall'Italia quando andai a trascorrere li' qualche mese proprio tra l'estate e l'autunno del 2001.

Bei ricordi ma anche brutti brutti ricordi. "The Day John Kennedy Died" e' uno dei pezzi dell'album e dal titolo e' evidente qual e' il tema della canzone. Deve essere un giorno come tanti altri invece accade qualche cosa che non ti aspetti, che i piu' non si aspettano, e quel giorno, insieme a tutti i ricordi ad esso associato, rimane impresso nella memoria personale e collettiva. Ti svegli la mattina, prima di cominciare la giornata un'occhiata veloce alle notizie in rete e vieni a sapere che le due torri sono crollare: il mondo non sara' piu' lo stesso. Mi rendo conto che questa non e' certamente una delle migliori canzoni di Lou Reed ma e' comunque una delle mie preferite. Anche se mi sono reso conto di quanto questa rappresentasse per me quando l'ho ascoltata la prima volta dal vivo l'estate scorsa. Forse anche per via della sua voce esitante (che dal vivo non e' mai stata 'sto granche') che contribuiva a renderla ancora piu' sofferta e partecipata. Chissa', i misteri della musica!

Ma non c'e' solo "The Day Jonh Kennedy Died" in "The Blue Mask". Le altre canzoni non sono di certo piu' allegre ed ottimistiche, anzi! Degrado, violenza, insicurezza e paura sono temi che si affacciano in quasi tutto l'album. Tuttavia l'inizio non lascia presagire tutto cio' infatti "My House" e "Women" sono dolci, positive e rilassate. Chiude una canzone d'amore, "Heavenly Arms". In mezzo l'inferno! Ed e' questa la parte migliore del disco. Indimenticabile e' "The Blue Mask" (la canzone) con le sue chitarre elettriche tirate e violente quasi quanto il suo testo. Ci si arriva passando per le gia' citate "My House" e "Women". Poi, attraverso un crescendo di toni e ritmi, si sale fino ad una esplosione che comincia con una lunga introduzione di chitarre distorte seguite da un incalzante giro di basso di Fernando Saunders (da questo album in poi sara' quasi sempre presente nelle future produzioni di Lou Reed). Con le successive "Average Guy" e "The Heroine" si trova il tempo per rilassarsi prima della successiva cavalcata elettrica di "Waves of Fear" dove il protagonista e' proprio il terrore e la paura generate da non si sa bene cosa. Panico allo stato puro che paralizza, blocca il respiro. Forse e' solo un brutto sogno. Si aprono gli occhi ed ecco "The Day John Kennedy Died".

venerdì 9 maggio 2008

Riccardo Cocciante


Il fantastico connubio tra parole e musica ha sempre affascinato un po’ tutti. Ci sono delle collaborazioni musicali dove un testo diventa eccellente proprio grazie alla sua integrazione con il pezzo musicale abbinato, tanto da crearne un binomio inscindibile.

Penso che sia per questo che ci si ritrova a canticchiare delle canzoni cosi’ per caso in un posto qualsiasi ricordandosi non solo la perfetta intonazione delle melodie ma anche tutte le esatte parole, addirittura dopo decenni dall’ultima volta che le hai sentite.

Certo è anche necessario che il momento in cui si ascoltavano con maggiore frequenza sia stato particolarmente importante: non sto a dilungarmi sulla relativa importanza in quanto su questo mi sono gia’ espresso nel precedente intervento su questo blog.

E’ nel periodo della mia vita dove stavo lasciando dietro le spalle i miei giocattoli, le mie letture adolescenziali durante il quale gli affetti e i sentimenti stavano per essere travolti da un uragano, che ho fatto conoscenza con la musica di Riccardo Cocciante.

Sono state le sue canzoni che mi hanno aiutato a capire cio’ che all’epoca mi stava succedendo: la solitudine che in quel periodo mi attanagliava, i nuovi desideri che facevano capolino nel mio essere e nella mia anima potevano avere una spiegazione nelle sue stupende canzoni. Grazie a esse capivo che quel bambino che stava per diventare grande aveva delle emozioni con un senso.

Azzardo a dire che le domande esistenziali che chiunque nella sua vita si è posto possono trovare risposta nei suoi primi album, i prime sette, che guarda caso coincidono proprio con la collaborazione artistica con i grandi Paolo Cassella e Marco Luberti:
1972 Mu
1973 Poesia
1974 Anima
1975 L'alba
1976 Concerto per Margherita
1978 Riccardo Cocciante
1979 ... E io canto

Il desiderio verso la persona amata corrisposto o meno, il suo distacco, la solitudine, l’amore verso le piccole cose, l’amicizia non sono forse queste le cose piu’ belle della vita?

Provate a prendere un LP a caso fra i magnifici sette sopra citati e potrete rigustare quelle magiche sensazioni fatte di tormenti e passioni: provare per credere.

Chi scegliere fra questi per portarsi dietro in un isola deserta? Ovvio! Quello che secondo la critica musicale fra di loro è il meno attraente e che viceversa, per me,  è forse il migliore. Questo a dimostrazione che i sentimenti che si prova nell’ascoltare Riccardo Cocciante sono soggettivi. Quindi via libera all’LP che vede come titolo proprio il suo nome, ed è giusto che sia cosi’ per le emozioni particolari che è riuscito a trasmettermi dal 1978 data della sua uscita.

L’album inizia con Notturno una poesia messa in musica che Riccardo Cocciante amalgama magistralmente , come del resto ci riesce in gran parte dei pezzi della sua enorme discografia: la voce che regala alle strofe che canta si lascia spesso andare a dei passaggi in un crescendo progressivo in cui dimostra le sue grandi capacita’ di vocalizzazione.

Stupida commedia è il secondo brano che, al contrario del primo, offre un cantante perduto volutamente in una rassegnata interpretazione, utile a trasmettere quanto sia difficile portare avanti un rapporto sentimentale in cui si crede.

Colsi una rosa, una specie di madrigale eseguito con un gusto sopraffino riadattato alla musica dei giorni nostri. Anche in questo caso Riccardo Cocciante dimostra che le emozioni possono essere interpretate nei modi piu’ disparati, riuscendo a non smarrire, in questa atipica interpretazione, il significato della propria musica.

Un amore è capace anche di trasformarti e di renderti l’uomo piu’ felice della terra. Capita pero’ che non si riesca a fare capire al proprio amore quanto veramente gli si vuole bene, e allora ci si puo’affidare anche a Storie: grazie a queste si puo’ riuscire a dimostrargli la sua immensita’, come del resto ci è riuscito Riccardo Cocciante in questa straordinaria canzone. Ascoltatela se non lo avete ancora fatto e poi mi ringrazierete.

Una vita che si evolve e un amore che cambia perche’ è la vita che ci cambia: e’ la spiegazione che Riccardo Cocciante da' alla persona amata: A mano a mano, col passare del tempo, solo la forza dell’amore potra’ riuscire a rinsaldare un legame in crisi.

Voglio poi concludere con due pezzi che ogni qual volta ascolto provo sensazioni uniche:
Tornero’ , commovente come non mai. Non so quante volte l’ho cantata nei momenti piu’ tristi. Il desiderio di tornare a un affetto e’ espresso in questa canzone con delle parole stupende, con la solita fantastica musica, per non parlare della struggente mai troppo ascoltata Non andartene via: 124 secondi che nel mio iPod saranno per lei sempre disponibili:

Non andartene via
Neanche solo una notte
Troppo fredda la notte
Se non dormi con me

Non andartene via
Anche se per un’ora
Sembra eterna quell’ora
Se non sei qui con me

Leggi questa poesia
dice che tu sei mia
Parla della follia
che io sento per te

Non andartene via
Neanche solo un istante
Da solo un instante
Morirei senza te

giovedì 1 maggio 2008

Out of this World

Ancora una volta uno dei miei dischi preferiti e' uno di quei dischi che in qualche modo ha segnato un momento particolare nella mia vita. Era il 1989 quando usci' questo disco, questo mitico disco!

All'epoca mi ero appena affacciato alla scena rock, hard rock, e rock melodico (di cui gli Europe sono uno dei maggiori esponenti). Gli Europe erano gia' famosissimi in tutto il mondo per il grande successo che ebbero con l'album (e soprattutto con la title track) "The Final Countdown", del 1987, con quell'intro che ormai tutti conoscono.

All'epoca gli Europe (forse lo sono ancora) erano uno di quei gruppi "da ragazzine", rapite dalla bellezza e dalle lunghe chiome dei componenti (soprattutto del cantante Joey Tempest). Quindi mi ricordo che erano abbastanza snobbati da noi maschietti :-) Dopo un po' di scietticismo, pero', mi misi ad ascoltare meglio la musica degli Europe e questo disco mi colpi' in modo particolare per le melodie che si mischiavano molto bene con suoni hard rock, chitarre graffianti, e strutture semplici ma di impatto.

Nel 1989 andai a vedere il mio primissimo concerto (gli Eight Wonder, si', proprio quelli di Patsy Kensit) e poco dopo decisi di provare ad andare a vedere gli Europe che suonavano anche a Firenze...

Quel concerto non lo dimentichero' mai! Fin dal primo pezzo (preso da questo disco e poi diventato uno dei miei preferiti), "Ready or Not", gli Europe dimostrarono di non essere solo un gruppo da ragazzine ma di avere il rock nelle vene. All'epoca non sapevo tantissimo di musica, pero' quel concerto mi trascino' e soprattutto rimasi davvero impressionato dal chitarrista, Kee Marcello (che subito dopo The Final Countdown sostitui' il chitarrista storico della band, John Norum). Suonava divinamente; questa almeno fu la mia impressione (peraltro giusta) da perfetto ignorante di chitarra.

Kee Marcello (acclamato a ragione come virtuoso della chitarra) suonava dal vivo (proprio come nel disco) ritmiche e assoli pazzeschi con una disinvoltura allarmante (e con movenze rock tipiche) e quindi mi colpi' pezzo dopo pezzo. In piu' proprio in quel concerto, scoprii che uno dei miei pezzi preferiti dell'album, "Open Your Heart" (classica ballad, rispolverata in "Out of this World", anche se originariamente era gia' apparsa nel secondo disco della band, "Wings of Tomorrow") aveva l'intro principale suonato con la chitarra acustica (ve l'ho detto che all'epoca ero molto ignorante di strumentazione :-)

Piu' di due ore di musica dove furono suonati i pezzi piu' famosi del gruppo e quasi tutti i pezzi di "Out of this World"!

Uscito, emozionatissimo, da quel concerto ricordo che presi la decisione di imparare a suonare la chitarra; la cosa buffa e' che ero convintissimo che suonare la chitarra rock era semplicissimo, vista la disinvoltura con cui suonava Kee... quanto mi sbagliavo! Ma questa e' un'altra storia ;-)

Non potete immaginare l'emozione che provai quando nel 2004 gli Europe si riformarono e dopo 12 anni di assenza dalla scena, ci regalarono un nuovo disco e tanti splendidi altri concerti (purtroppo John Norum e' tornato nella band al posto di Kee Marcello, ma anche John e' un grande chitarrista grintoso).

"Out of this World" rimane quindi uno dei miei dischi preferiti in assoluto e che ogni tanto riascolto sempre con grande piacere.

Lasciatemi finire con queste piccole citazioni:
Open your heart and let the good times rock, because there's more than meets the eye! ;-)