giovedì 22 dicembre 2011

L'oro dei Matia Bazar


Ci risiamo. Ecco un altro spot "una tantum", che non segue più i bei ritmi di una volta, e per quel che mi riguarda chiedo scusa. Un intervento, insomma, che suona tanto come l'ultima manovra finanziaria del nostro nuovo Presidente del Consiglio. Fatta per non tracollare. "Salva Italia", così l'ha chiamata: bè speriamo che almeno il nome porti bene. Anche se ancora non ho capito perché a non far saltare la baracca siano sempre chiamati i soliti, quelli che stanno peggio.

Calma gente, mi fermo qui, tranquilli, perché l’intervento di sta’ volta va dalla parte decisamente opposta. Parlo di scazzi, per cui state "manzi", come dice il mio amico Pilù.

E ho intenzione di stupire, in onore delle sfide dei bei tempi, quando gli interventi su questo blog si muovevano a cadenza quindicinale.

Scazzi si diceva, giusto? Ricordano una età in cui se ne fanno molti. E io, cinquantenne, per evocarli non posso fare altro che ricorrere al mio passato remoto. Lo so, fa un certo effetto sentire uno di questa età con queste intenzioni; so anche di avere già perso un po' di gente per strada con queste mie velleità. Era nel conto, ne sono consapevole. Quanti siamo rimasti? Quattro ? Forse cinque? Meglio così: pochi ma buoni. Ma purtroppo è il momento di dire di chi ho intenzione parlare, per cui da pochi passeremo a pochissimi. Colgo il rischio e la sparo grossa. Matia Bazar. Vai, l'ho detto.

Va bene pochi, ma nessuno? Ok, ho capito, questo intervento lo scrivo e me lo leggo, canto e porto la croce. Un regalo di Natale, insomma, che mi faccio, anche se vi assicuro, trattasi di un gran bel regalo. L’album di cui voglio parlare è una raccolta di brani dal titolo L’oro dei Matia Bazar, dove sono riportati tutti i loro vecchi pezzi migliori.

La copertina di questo trentatré giri, di un marrone bello scuro, voglio intenderla il guscio di un ostrica, con dentro tante perle di emozioni. Un ostrica fatta a forma di Jukebox, come quello del paese di montagna dove ho passato le mie vacanze estive di trentacinque anni fa.
Sì, allora avevo anche una vespa bianca, sulla quale potevo scorrazzare il lungo e in largo, ma non l’iPod d'inizio ventunesimo secolo; all’epoca si andava avanti a Castelli, così si chiamava il mio mitico mangianastri indistruttibile, grosso come un filoncino di pane da mezzo chilo.

A forza di sentirli tutto il giorno, i pezzi che giravano su quel jukebox, ero arrivato a fare a mente una lista ideale delle mie preferite. E quando pensavo alla ragazza che in quel periodo volevo rimorchiare, non potevo che ispirarmi alle parole dei brani dei miei Matia Bazar.

Consiglio sugli acquisti e sul da farsi: procuratevi questo album e mixate i pezzi che lo compongono con le vostre moderne Playlist di oggi. Volete sciogliere situazioni particolari affidandosi a parole banali quanto efficaci? Da musiche suadenti? Bè, io sì, l’ho fatto, ancora acerbo, ma con tanta voglia di darglielo un bacio a quella ragazza che in quell’estate non mi voleva andare via dalla testa.

Come ho fatto? Ma proprio con con quel Jukebox piazzato in mezzo a un sala uso discoteca di montagna, quando tutti erano a mangiare, tante cento lire, il mio Magneti Marelli e una Basf nella quale registrare quei pezzi (per i pischelli dei giorni nostri le Basf non sono altro che cassette a nastro dai trenta e centottanta minuti: io. per inciso, usavo sempre quelle da novanta).

Mentre registravo quella cassetta non potevo fare a meno di idealizzarlo quell’incontro: un invito e subito dopo dietro lei in vespa; arrivo in un posto molto isolato. E poi? E poi, vespa sul cavalletto, una panchina, io e lei lì sopra molto vicini e accanto il mio Magneti Marelli con la Basf dentro, e via.

Come partenza, non ci sono grossi dubbi: Solu tu, ovvio. Per farle capire come la pensavo su di lei, affidandosi a Antonella (Antonella Ruggero), con le sue magie espresse dalla sua splendida e inimitabile voce.

Con questo inizio la mia bella avrebbe senz'altro capito che non ero un tipo banale, e per renedere una impressione una certezza, avrei potuto a quel punto innestare una marcia decisa sulle mie reali intenzioni, passando al brano successivo. Una perla molto preziosa, da giocarsi subito. Un pezzo “cult”, insomma. Mi riferisco a Stasera che sera. Ascoltatela, e poi mi direte se non è una canzone che non trasmette energia e voglia di fare, e poi ne riparlaimo.

Una reazione inaspettata e imprevedibile ci può anche stare. Ma non cè da temere! Basta avere una canzone a portata di mano. E c'è, diamine, in questo fantastico album. Il titolo è Ma perché, e magari, da un dramma si può saltare anche in una festa. E grazie al ritmo sfrenato del pezzo, va anche a finire che ci si mette anche a ballare.

Mentre facevo quella cassetta pensavo che la mia tipa si sarebbe senz'altro sciolta, e per questa occasione c'era giocarsi tante altre perle, canzoni del tipo, che ne so, Per un minuto e poi , Un domani sempre pieno di te, Che male fa.
Ma metti caso che tutto giri per il verso giusto, può succedere no? Ebbene non ci crederete ma c’è anche un pezzo proprio per questi magici momenti: Per un ora d'amore, provare per credere.

Ne tralascio altre, ne sono sicuro, ma vado di fretta. Ho voglia di andare a riascoltare un LP che, almeno a me, ha cambiato la vita.

mercoledì 11 maggio 2011

Bandabardò di domenica mattina

Stamattina sono andato a comprare il giornale, La Repubblica.

Una lieta sorpresa mi attendeva.

Nella solita rubrica domenicale, quella posta a metà giornale e che mi spinge da un po' di Domeniche a questa parte a uscire fuori di casa di buon ora la mattina di un festivo, anziché starmene a fare cose così come vengono, cos'e' che ti trovo? Una intervista alla Bandabardò.

Be', che si fa in questi casi? Semplice si va a intuito.

Capita di trovare l'esigenza di prepararsi il campo un po' come fanno i campeggiatori appena arrivano alla loro bella piazzola, tutta all'ombra in una rovente giornata d'Agosto: non vedono l'ora di predisporre tutto perbenino prima di piazzarsi su un bello sdraio. Esattamente quello che ho fatto appena tornato a casa stamattina con giornale, sedia e tavolino sul mio terrazzo, senza dimenticarmi, ovviamente, dell'iPod con a bordo l'album Tre passi avanti di Errichez e compagni.

E mentre le melodie dei miei chansonnier facevano breccia in quella che poteva diventare una abituale apatica Domenica, mi apprestavo a iniziare la lettura dell'articolo. Giova segnalare a chi avesse voglia di continuare a leggere queste tre righe, che a me la Bandabardò piace per le melodie esotiche che ti invitano a pensare a posti e luoghi e diversi da quelli da dove vivo: un pretesto, insomma, per far uscire i tuoi pensieri dallo stalletto della vita in cui essi sono quasi tutti relegati.

Intendiamoci, non voglio dire che nei loro loro testi non ci sia roba che ci casca addosso tutti i giorni! E' che la loro musica è così particolare che porta a evadere, a volare! Anche se poi, ciò che cantano, agisce come una palla al piede che trattiene a terra i tuoi voli un po' troppo azzardati, ironizzando su tutto ciò che ci circonda.

E allora avanti così! Ascoltiamo e cantiamo prendendoci tutti in giro, e proviamo, finalmente, a leggere questo articolo.

Leggendo cosa dice Errichez capisco, cavolo capisco, e condivido. Come non essere d'accordo con lui quando parla della palla al piede dei nostri sogni? Inutile dire che si parla di Berlusconi, e sulla scarsa fiducia che ispira Renzi, il nostro rampantissimo sindaco, quando idealizza sul nostro futuro.

Ma anche, e soprattutto, cosa vuol dire essere di sinistra oggi. E allora? E allora cantiamoci su.

Ironizziamo anche sul nostro futuro, su quel poco che abbiamo fatto e su ciò che lasceremo ai nostri figli. Tutti insieme con la Bandabardò.